Con nota GDAP.09/04/2024.0152740.U il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria risponde al disposto secondo quanto previsto dal protocollo di cui all’oggetto rivolgendo al personale una richiesta di disponibilità a prestare servizio di missione internazionale presso una idonea struttura penitenziaria da
realizzarsi in territorio albanese.
Il contingente destinatario di tale richiesta prevede personale per i vari ruoli del Corpo di Polizia Penitenziaria, prevedendone utili “…oltre il Comandante, …7 unità del ruolo Ispettori UOMINI, 7 unità del ruolo Sovrintendenti UOMINI e 1 unità del ruolo Sovrintendenti DONNE, 23 unità del ruolo Agenti/Assistenti UOMINI E 6 unità del ruolo Agenti/Assistenti DONNE. IL TOTALE DEL CONTIGENTE DEL CORPO AMMONTA A 45 UNITA’”.

Già intervenendo in una analisi fugace di quanto determinato, salta all’occhio la presunzione di considerare che per SEI MESI ALMENO, possa bastare la presenza di un solo Dirigente Penitenziario e la guida del contingente di un solo Comandante appartenente alla Carriera dei Funzionari. Ma almeno, in questo caso, ci siamo risparmiati la differenziazione di genere, cosa che per quanto offerto, in termini di opportunità, non è stata affatto considerata per il ruolo di Ispettore.

Tanto più che la sola presenza eventuale di una donna Sovrintendente sarebbe più che sufficiente, sempre
secondo ricognizione, a sostenere interventi e servizi consoni ai compiti istituzionali normalmente svolti all’interno di un istituto penitenziario (perquisizioni familiari ad esempio). Ma, in tale contesto, urge sottolineare che la discriminazione alla quale da tempo sottostanno le donne della Polizia Penitenziaria soprattutto nei ruoli di concetto quali quello degli Ispettori, sembrava andare scemando già con lo scorrimento graduatoria concorso per tale ruolo, quasi a credere che finalmente si stesse muovendo qualcosa di concreto verso il superamento di una così anacronistica situazione.

E invece no, eccoci di nuovo a chiedere perché, perché?

Si coglie, in tale occasione, l’opportunità di chiedere delucidazioni in merito alle modalità specifiche di servizio e supporto di natura penitenziaria per il quale il contingente è chiamato in missione in territorio albanese: sfugge alla scrivente il criterio operativo e normativo che dovrebbe tendersi a supporto di una così delicata iniziativa, soprattutto in termini squisitamente normativi. Per meglio chiarire la perplessità:

se il Corpo di Polizia penitenziaria ha riconosciuti per diritti e doveri il proprio servizio secondo un dettame normativo ben preciso, sostenuto da Regole penitenziarie di matrice Europea che ben delineano i confini di intervento sia in termini di reclusione che di modalità di esecuzione della pena, come e con cosa tali principi vengono recepiti in territorio albanese? Sulla base di quali riferimenti giuridici in Albania si interverrà in caso di reclami, rivolte, aggressioni, condizioni di rispetto art.3 CEDU ETC…ETC…,

dove alloggeranno e in che condizioni essi stessi??

COME VERRANNO TUTELATI E DA CHI VERRANO TUTELATI I COLLEGHI IN CASO DI DISORDINI O CONTRASTI CULTURALI E DETENTIVI IN ALBANIA??
Troppe domande portano ad altrettanti ipotesi campate in aria, senza risposte, Forse sarebbe stato utile informare in modo più completo gli aspiranti partecipanti a tale “offerta lavorativa” e non gettare fumo negli occhi paventando mero prestigio di cooperazione internazionale (remunerato poi in tariffe lorde) e considerare che un confronto anche con le OO.SS avrebbe sortito quantomeno molte meno perplessità (confronto, dialogo, no pretesa!).
Si resta, or dunque, in attesa di chiarimenti, utili alla scrivente per dipanare dubbi ma ancor più essenziali ai colleghi in procinto di avventurarsi in tale missione, i primi ad aver diritto a conoscere cosa loro aspetta.